Chi sono io
Mi chiamo Anna Laura, per gli amici Anura
Sono partita il 7 Aprile 2017 alla volta del Kenya, sollecitata da una collega per sperimentare un lavoro energetico in savana con un piccolo gruppo di viaggiatori speciali: il Reiki. Niente succede per caso nello scorrere della Vita: il 7 Aprile è il giorno in cui sono nata un numero imprecisato di anni fa, ma questo ha poca importanza, importante è solo il cuore, unito e in simbiosi con la mente, mentre naviga verso lidi di cui si avverte il richiamo … La Vita mi stava facendo il suo regalo, molto molto speciale, come sempre, come per ognuno … Insegno il Reiki, lo Shiatsu, il Coaching, che diventa Counseling quando la persona ha bisogno di ascolto e sostegno in un particolare momento della sua vita, mi occupo in genere di benessere, grazie anche al mio lungo percorso nello studio della naturopatia, aiutare è sempre stato il filo conduttore, dalla mia nascita ad oggi, di tutto il mio percorso, il mio viaggio, il mio safari (viaggio in Swahili), da quando ho scelto di nascere su questo meraviglioso pianeta.
Ho fondato una associazione, e ne sono stata presidente, con intenti umanitari, abbiamo raccolto fondi di poche centinaia di euro, da amici, parenti e conoscenti che sapendo come mi comporto non hanno avuto nessun dubbio per la donazione: ho fatto fare i banchi per una scuola molto povera, dove i bambini sedevano e scrivevano sul pavimento, portando anche penne e quaderni, con il nome della mia associazione, ho comprato dai locali, sul posto, quindi doppio supporto per loro, derrate alimentari e, aiutata anche da loro, che ho regolarmente pagato, abbiamo distribuito viveri in molti villaggi poverissimi dell’entroterra, ho fatto donazioni a due orfanotrofi della zona, dopo averli riempiti di generi di prima necessità per i più piccoli, ho organizzato in cooperativa, pagando tutti i documenti e le burocrazie del posto, ragazzi bisognosi, ho fatto loro un sito e le pagine sui social per aiutarli a lavorare, ho sostenuto un altro gruppo di ragazzi che volevano, e grazie al mio supporto ci sono riusciti, costruire un mini cinema per rallegrare i bambini e gli adolescenti del posto, onde evitare che fossero troppo in strada, vittime spesso di approfittatori, ho pagato la scuola a due ragazzi che, avendo perso il padre da poco, sarebbero stati costretti a lasciare gli studi, ho permesso a una famiglia molto povera, costretta a vivere divisa perché il papà era alla ricerca di un lavoro in posti lontani, di passare insieme tutte le festività natalizie. Tutto questo con poche centinaia di euro … Per il mio sostentamento in tutti questi mesi in cui mi sono dedicata a fare quello descritto, che non è tutto, ma sicuramente sono le cose più importanti, ho provveduto personalmente e personalmente ho donato la mia parte. Ora ho anche aiutato alcune persone bisognose del posto a fondare lì una associazione umanitaria, in maniera che possano usufruire direttamente degli aiuti, ma anche, lavorando grazie a quello che ho messo in opera, ridonare una parte a chi è più bisognoso di loro. Abbiamo deciso di raccogliere soldi e non oggetti, perché così facendo avremmo potuto portare un doppio aiuto: comprare dai locali, che vivono una vita di privazioni, e con quelle stesse provviste aiutare gli orfanotrofi e i villaggi più poveri.
Opero a Watamu, sulla costa Keniana, vicino Malindi, dove il mare e le spiagge sono talmente belli da attirare turisti e investitori da tutto il mondo. Ci sono anche tantissimi italiani che visitano e si innamorano di questa terra: operano soprattutto nel mondo del food. In tutto il mondo quando gli investitori fiutano l’affare prendono possesso del territorio e sfruttano i locali per il loro business. Il Kenya, e Watamu in particolar modo, non è esente da questa modalità eticamente deprecabile, ma legale e permessa ovunque. Questo, aggravato dalla mancanza del riconoscimento dei più elementari diritti umani, fa sì che durante i tre/quattro mesi delle grandi piogge le imprese chiudono e licenziano tutto il personale, in modo che, mentre i titolari fanno vacanze lunghe e dispendiose, i lavoratori del posto rimangono senza soldi e per quei mesi si arrangiano a mangiare principalmente frutta, di cui il paese è ricco, ma non sempre si trova nel periodo più burrascoso.
La maggior parte dei turisti che vengono accompagnati a visitare i villaggi più bisognosi ignorano che anche le guide spesso sono senza cibo. È una gara a chi è più povero! Ecco, è con questa realtà che mi sono confrontata personalmente per tutto il mese di Luglio, per esempio, al mio secondo viaggio qui. Ho continuato a comprare cibo e risorse di prima necessità e a distribuirle negli orfanotrofi e nei villaggi più poveri, dove i bambini ti strappano i vestiti di dosso se non sei veloce a dare loro biscotti e dolcetti: è fame, ma anche voglia di assaggiare un dolce, che non vedono mai. I ragazzi del posto, non sempre affidabili, considerando la dura realtà con la quale si debbono confrontare, hanno invece avuto nei miei confronti tutte le premure del caso: avevano capito con chi avevano a che fare, da me non avrebbero dovuto temere nulla! Non mi ero accorta che erano a loro volta senza cibo perché lavoravano impiegando forza fisica e resistenza. La prima volta, l’ora di pranzo era passata da un pezzo, travolta dalle emozioni più profonde a contatto con questi bambini e vogliosa di terminare il lavoro di distribuzione senza sosta, avevo dimenticato il mio appetito, non fame, perché noi occidentali non sappiamo veramente cosa significhi avere fame. Alle tre del pomeriggio propongo ai ragazzi di andare a mangiare in uno dei punti di ristoro locali, dove puoi gustare riso e polenta con sugo di carne e verdura o sugo di cocco e verdura, fagioli e chapati, una specie di piadina/crêpes morbida fatta di farina di grano gustosissima. Abbiamo ordinato tutto l’ordinabile per un costo finale di 490 scellini, pari a 4,50 €, per 4 persone, e mentre loro divoravano, letteralmente parlando, la loro porzione di cibo, io smangiucchiavo, più stanca che affamata. Ho proposto loro di aiutarmi a finire le abbondanti porzioni e ho chiesto loro da quanto non mangiavano, pensando che non avessero avuto tempo di fare colazione prima di venire all’appuntamento per caricare il cibo da distribuire. La loro risposta mi ha gelato il sangue nelle vene: quattro giorni fa abbiamo bevuto del latte, poi solo un po’ di frutta!!! E venivamo con me a distribuire cibo nei villaggi più poveri!!! I loro nomi li lascerò segreti perché è giusto così, ma non potrò più ignorare che pure loro hanno bisogno di tutto, almeno nei tre/quattro mesi delle piogge!!! Gravano sulle loro spalle anche le famiglie di origine, i fratelli più piccoli e una serie di responsabilità che fanno crescere velocemente i giovani africani: non si possono permettere di giocare, di studiare, di godere dell’aspetto ludico della vita, perché debbono lavorare duramente e non hanno necessità di fare digiuni per eliminare tossine e guarire così da diverse malattie tipiche dell’occidente date dall’eccesso di cibo, anche se spesso è cibo spazzatura. Loro muoiono anche giovani, la maggior parte arriva massimo a sessant’anni, ma per le privazioni, per lo stress di affrontare ogni giorno una vita durissima, per gli stenti che sono costretti a sopportare.
Sono tornata a Watamu anche a Maggio e Giugno dello scorso anno, proprio nel bel mezzo delle grandi piogge: ci sono state alluvioni, con morti e sfollati, siamo andati a portare aiuti vincendo il fango e il timore, siamo stati senza acqua e corrente per 10 gg, ho fatto la doccia in costume sotto la pioggia battente e proprio mentre provavo i disagi di chi vive sempre così ho pensato: “vorrei fare un pozzo e un generatore di corrente, oltre a un possibile (?) desalinatore perché l’acqua dolce è un bene di prima necessità, soprattutto per gli abitanti delle case di fango che sono soliti raccogliere l’acqua piovana anche per bere”, chissà, magari ci riesco, mai dire mai … La mia presenza sul territorio si è protratta e ho capito quanto già da Luglio la vita di Watamu cambia totalmente: la cittadina si riempie di turisti, che portano sicuramente soldi e guadagni, ma il lavoro da fare è tantissimo e profondo, cominciando con la piaga del turismo sessuale, dal quale non sono protetti neanche i bambini: quando vivi in totale povertà sei disposto a tutto, passando sopra alla propria dignità e alla incolumità dei propri cari … chissà se MAI coloro che si recano nei paesi più poveri per “godere” di persone pronte a compiacerli solo per condizioni di vita miserevoli, proveranno un moto di repulsione per un sesso sfrenato, ma freddo e privo di amore, dove c’è solo prevaricazione e sudditanza?
Ora mi occupo di turismo, faccio lavorare, riservando i guadagni per loro, le persone del posto dopo aver fatto un po’ di formazione e aver ristrutturato, in parte, una forma mentis molto radicata e, anche se sono costretta a registrare diversi fallimenti, non mi arrendo. Ho ancora tanto da fare, sono solo all’inizio, ma sono carica di AMORE e RISPETTO per me stessa e per gli altri, quindi sono forte.